Morathi è il gigante buono, è così che ce lo presenta l’educatrice del progetto SAI del comune di Ceccano che media la nostra conversazione. A differenza degli altri racconti, il suo non è spezzato dai sorrisi che cercano di dissimulare imbarazzo. La sofferenza di Morathi ha reso la sua voce e i suoi gesti più dolci, più consapevoli e fragili.
Nel 2008 in Ghana sono scoppiate guerre politiche per problemi di successione, sono state distrutte e incendiate case. Ho perso i miei zii, mia madre invece è stata portata ad Accra, perché le persone venivano fatte scomparire silenziosamente. Ho capito che dovevo andarmene e ho lasciato il Ghana il 20 gennaio 2016, sono arrivato in Libia il 30 gennaio del 2016, dove sono rimasto per tre mesi.
Mi hanno picchiato parecchie volte, è capitato che non riuscissi ad alzarmi per tre giorni. Un mio amico mi ha dovuto aiutare sia per alzarmi che per lavarmi. Mi sono rifiutato di controllare il lavoro degli altri e per questo sono stato picchiato così tanto. Mi hanno portato in prigione per una settimana e sono stato liberato soltanto quando sono arrivati i soldi del mio riscatto.
Morathi (nome di fantasia) nel progetto SAI di Ceccano. Fotografia di Camilla Cerroni
Mentre andavo verso la barca per andarmene e venire in Italia, io e altre 30 persone siamo stati presi senza alcuna ragione e riportati in prigione un’altra volta. Se hai i soldi per pagare ti lasciano se non li hai ti portano a Saba per venderti. In Libia se non hai i soldi muori. Sono stato arrestato due volte. La seconda volta per due mesi.
Con Malika invece abbiamo camminato su un filo labile, cercando di restare in equilibrio tra l’ascolto, la curiosità e la paura di scivolare nell’invadenza. Inevitabilmente, la sua verso di me (un’estranea che voleva sapere qualcosa di personale sul suo conto) era una diffidenza esplicita, detta. È servito qualche minuto per accordarci sulla possibilità o meno di registrare l’intervista: alla fine me lo ha permesso. Voleva raccontare qualcosa di bello, di positivo e infatti sul viaggio dalla Nigeria all’Italia, chiude rapidamente con poche parole: «non ricordo le cose brutte». Il giorno prima della nostra intervista ha compiuto 28 anni, vive in Italia da quando ne ha 23.
Malika (nome di fantasia) nel progetto SAI di Ceccano. Fotografia di Camilla Cerroni
«Sono venuta qui per lavorare, per una vita bella», apre in questo modo l’intervista. Lavora in un’impresa di pulizie ed è fiera dei suoi traguardi scolastici, del diploma di terza media e delle certificazioni in lingua italiana. «Significano tutto per me, all’inizio non volevo nemmeno andare a scuola tutti i giorni, poi per la professoressa sono diventata la studentessa modello. È importantissimo arrivare dove vuoi e ci sono riuscita soltanto perché non ho mollato. Di fronte a me vedo un bright future. Sono mamma di un bambino di sette anni, si chiama Richard, e voglio fare della mia vita qualcosa di bello. Voglio che venga qui anche lui, è ancora in Nigeria con mia madre e non lo sento da molto tempo».