Giovani Democratici

«Essere donne in politica comporta responsabilità diverse», dalla sezione dei Giovani Democratici

Essere donne porta con sé la condanna di abitare un corpo parlante, veicolo di messaggi e contenitore di responsabilità mai reclamate. In questa seconda parte dell’intervista nella sezione dei Giovani Democratici di Garbatella restituiamo la testimonianza di Giulia Lanciotti, Eleonora Patta, Cecilia Arnesano e Sara Albertini che si snoda attraverso la riflessione sulla valenza che il corpo delle donne assume in politica.

Giulia. Inizialmente avevo dei pregiudizi e aspettavo di sentirmi totalmente sicura per intervenire in un dibattito. Siamo un circolo piccolo, ma mi rendo conto che in assemblee più ampie c’è maggiore ritrosia. Mi ha colpito molto una frase che ho ascoltato durante un comizio al di fuori del nostro contesto politico di riferimento: «è bella, ma non balla». Mi sono sentita in soggezione e un’espressione del genere mi porta a pensare molto a ciò che dico, perché nel fare politica come donne bisogna dimostrare di stare sempre al passo. Devi essere infallibile. A volte avverto il timore che essere una ragazza di bell’aspetto possa pregiudicare le aspettative su di me, quindi ho paura di mostrarmi come sono. Per non risaltare troppo sto attenta all’abbigliamento, non perché percepisco una pressione dall’esterno ma perché cerco di prevenire eventuali critiche. In contesti politici distanti dal mio, paradossalmente, mi sento più sicura.

Eleonora. Noto questa cosa anche all’università. Nei Giovani Democratici mi sento a mio agio perché è un ambiente amicale, ma negli spazi pubblici le donne tendono a parlare di meno, dopo gli uomini e hanno più difficoltà ad esporsi. Prima di intavolare un discorso, personalmente, ci penso molto sperando che sia coerente in tutte le sue parti. Avvertiamo una responsabilità diversa. Avere un corpo femminile fa la differenza, non tanto nel contesto politico ma in generale. Ad esempio, io sono entrata in quella fase dell’età in cui tornare a casa da sola mi terrorizza e il fatto di sentirsi sempre sotto attacco incide tanto.

Abitare un corpo da donna ti porta a non avere la spensieratezza per poter occupare lo spazio altrui, perché da donne si è attente anche all’Altro quindi quello spazio viene rispettato. C’è un discorso di relazione che gli uomini percepiscono di meno, il loro stare nello spazio si esprime in questi termini: «ci sono io e poi c’è lo spazio», invece per la donna è il contrario. Questa cosa è molto più visibile nel contesto politico, composto da molti uomini. Avere un corpo di un certo tipo comporta responsabilità diverse, che magari neanche vuoi avere.

Sara. Risultare bella o meno per me non è mai stata una preoccupazione. Noto che valuto il mio corpo in base allo spazio: se sono in riunione con persone della mia età, che conosco, sento che il mio corpo può occupare molto spazio, sia nel modo in cui gesticolo che nel modo in cui mi sposto o abbraccio un amico. Questa cosa la percepisco in modo diverso quando sono in sezione con la parte del PD più adulta, allora sento che il mio corpo diventa più piccolo e il contatto fisico si fa molto ridotto.

Giulia. C’è da dire che tutto questo compromette anche la nostra attività politica, perché se devo partecipare a un’assemblea dall’altra parte di Roma e non ho un compagno o una compagna che mi riporta ci penso varie volte prima di andare. La politica richiede presenza, soprattutto se si occupano dei ruoli all’interno dell’organizzazione. Non sono responsabilità che possiamo attribuire ai compagni o al partito: sono problemi della società, ma sono condizioni esterne che pregiudicano il mio modo di fare politica.

Cecilia. Io non mi sono sentita in difficoltà ad esprimermi nel contesto dei Giovani Democratici in politica a Roma. Vengo da un paese di 8000 abitanti in provincia di Lecce, lì mi sono sentita davvero senza diritto di parola e dovevo dimostrare di poter entrare in politica. Prima di raggiungere la nomea, anche in famiglia, di quella che ne sa di politica ho dovuto aspettare ventun anni. Quando ne avevo nove ho deciso che non volevo lavare i piatti con la nonna ma volevo guardare il telegiornale con mio nonno e questa cosa era vista malissimo. Il contesto Giovani Democratici, con tutte le sue difficoltà, mi ha sempre dato la forza di parlare: quando c’è questa possibilità me la prendo, anche se ci rifletto mille volte. Ciononostante, ho sempre paura di risultare stupida, banale o di essere percepita come corpo e non come mente. Diventa stancante conciliare tutto questo, perché gli uomini non vengono ricordati per essere più o meno piacevoli, ma per la qualità delle loro idee.

Quando ero ragazzina, al liceo, per impormi sugli uomini cercavo di vestirmi in modo mascolino così da nascondere dei tratti della mia femminilità. Anche come approccio politico ho notato che quando non facevo politica nel partito ero molto più aggressiva, perché pensavo che soltanto così avrei trovato il modo di sovrastare gli uomini, poi mi sono resa conto che non è il mio carattere, non è il modo in cui voglio fare politica. Mi rendo conto, però, che agisco sempre in una bolla.