Dipendenze e autostima

«Le varie dipendenze derivano anche dalla perdita di autostima», Tiziano Ziroli

Quando si sceglie di raccontare storie, esistenze, frammenti di vita lo si fa principalmente per un motivo: lasciare un segno, una traccia. Un punto che fissi qualcosa che è stato e che dà senso a quello che è in corso. Il racconto è sempre, in qualche modo, la legittimazione di una storia, il riconoscimento che passa attraverso l’altro per recuperare valore. Anche Tiziano Ziroli, dando voce alla sua storia a partire dalla tossicodipendenza, ha lasciato una traccia di sé con l’intento di essere utile a qualcun altro. Le storie sono vite a disposizione di altre vite, senza scendere nel pietismo o nell’eroismo forzati.  

Lo sa bene anche lui che le parole servono, che condividere è un atto di potenza capace di mutare gli orizzonti. Utilizza la scrittura come strumento per esorcizzare tormenti e paure, per esprimere bellezza e briciole di quotidianità. «La scrittura è stata una delle armi che mi ha salvato. Mi aiuta e mi ha aiutato tanto. In un racconto breve, riportato nell’ultimo libro che ho scritto, parlo del momento in cui ho deciso di chiudere con la sostanza. Era il giorno del mio compleanno, la mia famiglia era già stata allontanata da me. Avevo davanti due bustine di cocaina e mi rivolgevo a loro come se stessi parlando con una donna da cui volevo il divorzio. Ma non scrivo soltanto delle vicende legate alla tossicodipendenza, scrivo per esprimere le mie emozioni, belle e brutte. Mi aiuta molto, mi svuota».

«Quando ricominciai mi resi conto che non ne ero uscito mentalmente»

La ricaduta di Tiziano risale a circa quindici anni fa: uso di cocaina, detenzione e spaccio. «Rientrare in dipendenza è stato molto facile, ma arrivato ad un certo punto, capii che non era più aria». Capire il perché significa scoprire la radice, che molto spesso coincide con il dove, con il contenitore che ci plasma.

Dipendenze e autostima Tiziano Ziroli. Fotografia di Martina Lambazzi

«La mia storia nasce a San Basilio, considerato uno dei quartieri di Roma più difficili. Quartiere di case occupate. Lì, da ragazzo, ho conosciuto la sostanza, poi crescendo l’ho accantonata perché avevo iniziato a lavorare e a formare la mia famiglia. Finché non ho preso casa proprio in Via Luigi Gigliotti, la via delle case occupate di San Basilio, e lì ho incontrato amici di vecchia data con cui avevo fatto delle cavolate da ragazzo. Ricominciando a parlare con loro e a frequentarli ci sono ricaduto, ma non lo so nemmeno io come onestamente. Il ritorno l’ho fatto in età adulta, avevo 34-35 anni. Come diceva il mio psicologo, si deve uscire dalla mentalità della dipendenza, che non è soltanto fisica. Quando ricominciai infatti mi resi conto che non ne ero uscito mentalmente, ma soltanto fisicamente. A farmi aprire gli occhi è stato mio figlio che all’epoca aveva quattro anni: un giorno mentre stavamo giocando insieme fece qualcosa che mi irritò, quando sei in dipendenza non sei più te stesso, e mi disse “non sei più il mio papà”. Lì capii che dovevo chiudere e iniziai un percorso al Ser.D di Roma».

«Spostare la rabbia e il rancore su altro»

«Mi andai ad autodenunciare ai servizi sociali a Roma e, considerato genitore inaffidabile, mi allontanarono dalla mia famiglia. La mia ex moglie e i nostri quattro figli furono portati in una casa famiglia ad Arnara. Il mio percorso fu parallelo al loro, con delle regole rigide. Cominciai con il Ser.D di Roma che poi mi trasferì a quello di Frosinone per essere riavvicinato alla mia famiglia.  

Qui ho conosciuto il dottor Maciocia, lo psicologo che mi ha seguito. È stato straordinario con me, all’inizio forse anche un po’ duro e diretto, soprattutto rispetto alle mie ricadute inziali. La psicoterapia ha contato tanto. Ho parlato tanto delle mie origini, dei miei luoghi di provenienza. Con lui sono riuscito ad aprirmi davvero. Spostare la rabbia e il rancore su altro spesso permette di realizzare sogni che sembravano irrealizzabili, come nel mio caso sono state la poesia e la radio. Però serve veramente un grande aiuto e non si deve aver paura di chiederlo. Non ho superpoteri, eppure ne sono uscito, quindi possono farlo tutti, ma a volte la dipendenza è così forte che è indispensabile farsi aiutare».

«Le varie dipendenze derivano anche dalla perdita di autostima»

«All’inizio mi vergognavo del mio passato, avevo paura di essere giudicato. Poi piano piano ho cominciato a raccontare, sentendomi egoista per non averlo fatto prima. Chi ha avuto problemi di questo tipo non se ne deve vergognare, ma metterli a disposizione degli altri.

Dipendenze e autostima Tiziano Ziroli. Fotografia di Martina Lambazzi
La cocaina la trovi dappertutto, con la differenza però che nelle borgate e nelle periferie manca la bellezza. Sembra quasi una strada già segnata, come se la borgata avesse un confine oltre il quale ti impedissero di andare. Se però lo superi ti rendi conto che esiste un altro mondo. Fino ad un certo punto la mia vita si è ridotta alla borgata e per questo credo sia fondamentale far conoscere ai ragazzi altre vie. La frase che si sente più spesso è “ma io do’ vado? Vengo da San Basilio”. Anche se poi proprio da lì provengono Mannarino, Fabrizio Moro, Ultimo. Loro sono usciti da quel confine, come ho fatto anche io. Chi abita là quel quartiere lo vive come un confine, ma dovrebbe essere un orizzonte. Ho sempre sognato di poter andare a parlare nelle scuole, si deve parlare ai ragazzi proprio come parlano loro. Le varie dipendenze derivano anche dalla perdita di autostima e nelle periferie l’autostima è proprio sottoterra.

Io sono stato molto fortunato perché le persone che avevo intorno non mi hanno puntato il dito contro, non mi hanno giudicato. Hanno voluto conoscermi nel presente, non per quello che ero stato prima. A volte serve anche cambiare luogo ed è così che sono stato accolto a Ceccano, un posto che considero uno dei miei luoghi di rinascita. Gli amici che ho conosciuto qui mi hanno insegnato cosa sia la dignità, l’umiltà, il credere in qualcosa. Se sono riuscito a fare tante altre cose lo devo a loro e li ringrazio.

A Roma, invece, chi mi conosceva da prima mi ha sempre guardato con una certa diffidenza e giudizio, mettendo il dito nella piaga e non prendendo atto del mio cambiamento. Devo dire che questo, purtroppo, l’ho riscontrato anche nella mia famiglia d’origine che da sempre ha considerato un peccato mortale quello che avevo fatto, per loro sono un osservato speciale, come a dire “eh mo’ che altro devi fa?”. Eppure sono cambiato, ne sono uscito da quindici anni, anzi ho fatto tante altre cose belle e non capisco perché non vengano prese in considerazione. Ma esistono famiglie diverse dalla mia, capaci di un altro approccio».