sessualità e corpi trans

Sessualità e corpi trans. Intervista a Elisa Ruscio

Il confronto con Elisa Ruscio ci ha permesso di declinare il discorso relativo alla sessualità all’interno del percorso di transizione che permette, qualora divergano, di riallineare l’identità percepita interiormente con quella percepita esteriormente. Un anno fa Elisa ha deciso di aprire una pagina Instagram (@bitch.elisa) attraverso la quale si occupa di sessualità e corpi trans perché, come ci ha raccontato nel corso dell’intervista, «diverse persone, intraprendendo il percorso di transizione, si sono ritrovate come me: senza risorse a cui attingere nel tentativo di comprendere i cambiamenti che coinvolgevano il corpo e la sfera sessuale». La condivisione del suo vissuto ha rappresentato un riferimento in un vuoto generalizzato di conoscenza, ma anche l’occasione per iniziare a de-costruire il concetto di norma in relazione ai corpi.

«Per un brevissimo periodo ho annullato la mia stessa sessualità – il mio essere lesbica – con l’intento di raggiungere l’approvazione maschile, l’unica cosa che secondo la mia percezione mi avrebbe permesso di essere considerata una donna. Mi ci è voluto del tempo per capire di non dover essere validata da nessuno, tanto meno da un uomo».

Quando e come nasce la decisione di aprire una pagina Instagram sulla quale affrontare l’argomento “sessualità e corpi trans”?

L’idea è nata un anno fa, era gennaio 2021. Quando ho iniziato il percorso di transizione mi sono ritrovata ad affrontare parecchi cambiamenti che coinvolgevano il mio corpo, ma anche la mia emotività e la mia psiche. Uno degli sconvolgimenti che nessuno mi aveva preparata ad affrontare era quello relativo alla sfera sessuale. Provando a cercare informazioni le uniche risorse che riuscivo a trovare erano in lingua inglese, allora mi sono chiesta: «possibile che io sia l’unica a porsi domande sul modo in cui la propria sessualità e il proprio corpo si modificano durante il percorso di transizione?» Da qui l’idea di provare a documentare ciò che stavo sperimentando sulla mia pelle, nella speranza che potesse essere d’aiuto a chi in futuro si sarebbe ritrovato nella mia stessa situazione.

«Essere una donna trans non operata rende la vita sentimentale e sessuale alquanto complicata». Ti va di condividere la tua esperienza in materia di sessualità?

Come prima cosa ho dovuto reimparare a scoprire il mio corpo, successivamente mi sono resa conto che anche le altre persone lo percepivano in maniera diversa. Essere una donna trans non operata mi ha portato a scontrarmi con problematiche che non avevo mai considerato prima della transizione. Nel momento in cui ho iniziato a socializzare al femminile, ad esempio, mi sono resa conto di aver perso alcuni dei privilegi di cui godevo quando ero socializzata e percepita al maschile.

Ho scoperto che il mio corpo, ormai non più ascrivibile alla norma, non era considerato desiderabile nell’ambito di una società tendenzialmente maschilista – dove prevale lo sguardo dominante maschile – perché aveva smesso di aderire a determinati standard di bellezza ed esteriorità. Sono stata fortunata a non aver subito aggressioni transfobiche, quantomeno a livello fisico, nonostante questo ero totalmente impreparata al fatto che essere una donna trans non operata rendesse complicato poter vivere non soltanto la sessualità, ma anche le relazioni in modo sereno.

Ho lavorato molto su me stessa per accettare l’idea di non avere un corpo che corrisponde allo standard considerato accettabile dalla società. Sono riuscita a liberarmi quando ho compreso che quel modello deriva da una visione maschilista patriarcale che è necessario de-costruire.

«Desiderio e attrazione vanno immerse nel contesto in cui viviamo che privilegia alcune soggettività e ne marginalizza altre». In che senso i gusti personali possono definirsi appresi, dunque culturalmente influenzati?

Quelle che apparentemente possono sembrare preferenze, quando si parla di corpi e desiderabilità, vanno contestualizzate. Nella società in cui viviamo tendenzialmente è considerato attraente un corpo bianco, cis, magro e abile: tutto ciò che esula da queste categorie, ci viene insegnato, non è desiderabile. Non si tratta di una visione intrinseca all’essere umano, acquisiamo queste informazioni dalla socializzazione, dai vari modelli che ci vengono proposti. Quando si parla nello specifico di corpi trans l’elemento che di solito viene considerato poco desiderabile è legato ai genitali: «non ho nessuno problema con te come persona, ma ho paura di quello che hai in mezzo alle gambe», questo è ciò che io per prima mi sono sentita dire.

L’attrazione, in realtà, è data da una serie di fattori. Se camminiamo per strada e incrociamo lo sguardo di una persona, gli elementi che possono renderla attraente ai nostri occhi sono tanti: il portamento, l’aspetto esteriore, il modo in cui parla o gesticola. Di certo non i genitali. Basare su un certo tipo di fisicità una discriminante verso un corpo che può essere considerato desiderabile o meno è qualcosa che bisogna de-costruire, di nuovo, e ripensare.

«L’autodeterminazione e la volontà di poter disporre del proprio corpo liberamente viene calpestata dalla burocrazia e dalle istituzioni che fanno gatekeeping». Quale ruolo – e quale forma – assume l’autodeterminazione per le persone trans?

Ogni persona dovrebbe poter decidere liberamente come disporre del proprio corpo. Questa premessa, almeno nel nostro Paese, per le persone trans – in particolare per le persone non binarie – è fortemente ostacolata dalle istituzioni mediche e politiche, che ci costringono a dover superare un’infinità di procedure per poter accedere alla terapia ormonale sostitutiva, al cambio anagrafico dei documenti oppure alle operazioni chirurgiche di riassegnazione del genere.

La nostra essenza deve passare al vaglio di psicoterapeuti, medici, avvocati. Non solo, alle persone che non hanno ottenuto la diagnosi di disforia di genere l’intero percorso viene negato: probabilmente ancora oggi ci portiamo dietro un retaggio della condizione patologica dell’essere trans, quando il vissuto delle persone gender non conforming era patologizzato, dunque sottoposto a un controllo rigido. Come se non avessimo la facoltà di disporre autonomamente del nostro corpo, abbiamo bisogno della validazione di istituzioni che ci confermano di essere abbastanza trans da poter accedere a una serie di servizi.

«All’inizio del mio percorso ho sentito il fortissimo impulso di dover perseguire l’eteronormatività e cercare la validazione maschile». In quale misura i modelli rigidi imposti dalla nostra società hanno influenzato il tuo modo di essere nel mondo?

Ti racconto un piccolo aneddoto: quando ho fatto coming out con i miei genitori come donna trans mia madre mi ha detto: «se adesso sei una donna significa che devi stare con un uomo, però ti ho sempre vista assieme a delle ragazze». In quel momento ho dovuto fare il secondo coming out nel giro di qualche minuto dicendo di essere lesbica. Ad ogni modo, mi ha fatto riflettere il principio, così radicato e derivante dall’eteronormatività, in base al quale essere donne equivale a dover stare con degli uomini.

All’inizio del mio percorso di transizione ricevere validazione da un’altra donna non aveva lo stesso peso del riceverla da un uomo, perché la visione eteronormativa ci insegna che la femminilità è definita dalla compiacenza dello sguardo maschile. Per un brevissimo periodo ho annullato la mia stessa sessualità – il mio essere lesbica – con l’intento di di raggiungere l’approvazione maschile, l’unica cosa che secondo la mia percezione mi avrebbe permesso di essere considerata una donna. Mi ci è voluto del tempo per capire di non dover essere validata da nessuno, tanto meno da un uomo.

Qual è stato il momento in cui sei riuscita a riappropriarti del tuo corpo?

Mi ha aiutata la vergogna. C’è stato un momento in cui ho realizzato ciò che stavo facendo e mi sono chiesta perché, nell’atto di rinnegare la mia sessualità, mi stessi annullando. Ho provato vergogna e sono tornata sui miei passi: sono io a definirmi, sono io che definisco cosa vuol dire essere donna.

Credo che si parli ancora molto poco dell’esperienza trans in tutti i suoi aspetti e a volte ho la sensazione che siamo tutte un po’ isolate, si fa fatica a creare una rete di sostegno o di scambio di informazioni. Mi piacerebbe lanciare questo messaggio: non siamo sole, dovremmo cercare di abbandonare la concezione rispetto alla quale non abbiamo supporto. Molte istituzioni danno il loro contributo, ma restano nascoste.