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Salute mentale. L’Associazione Bocciofila Badia Ceccano con i ragazzi delle comunità terapeutiche e dei centri diurni

Torniamo a parlare di salute mentale con il Presidente dell’Associazione Bocciofila Badia Ceccano, Antonio Del Brocco, che da anni collabora con le comunità terapeutiche riabilitative e i centri diurni della provincia di Frosinone. L’11 giugno scorso, a Roma, si è svolto il Campionato Regionale di bocce, evento al quale i giocatori scelti come rappresentanti delle strutture coinvolte nel progetto si sono classificati al primo posto. La nostra chiacchierata con Antonio è stata l’occasione per toccare con mano, ancora una volta, il filo doppio che lega il territorio di Ceccano al tema della fragilità psichica e la necessità di creare ponti dopo aver piegato le sbarre.

«Chi è nato a Ceccano qualche anno fa ha conosciuto l’ospedale psichiatrico, il cosiddetto manicomio. Se ancora ci fosse stata quella legge, avrei visto i ragazzi che oggi vengono a giocare con me attraverso le sbarre. Al di là del trattamento medico, quella struttura era considerata la prima azienda del posto perché dava lavoro a molti abitanti di Ceccano che ne hanno tratto beneficio e che, forse, dovrebbero sentirsi in debito».

Come nasce l’idea di coinvolgere le comunità e i centri diurni della provincia di Frosinone nelle attività dell’Associazione Bocciofila Badia Ceccano?

L’idea è nata dieci anni fa circa, in maniera del tutto casuale, quando sono stato contattato da Filippo Morabito, l’attuale direttore DSMPD e primario del Ser.D di Cassino della Asl di Frosinone, che mi ha proposto un progetto. A quei tempi avevamo una struttura fissa per il gioco delle bocce realizzata trent’anni prima e mantenuta da noi, autotassandoci. In seguito a questo incontro, accompagnato dalla presenza dell’assistente sociale Marzia De Sanctis, abbiamo deciso di mettere alla prova i pazienti ed è nato questo esperimento. Ci vedevamo ogni settimana per l’allenamento e partecipavamo alle gare domenicali.

Quali e quante sono le strutture coinvolte?

Inizialmente erano tre: la comunità Romolo Priori di Frosinone, la Maxwell Jones di Ceccano e il centro diurno di Isola del Liri. Ero aiutato da un mio collaboratore e i ragazzi si divertivano, anche se all’inizio giocavamo a dispetto delle regole, in maniera amatoriale. Alle strutture già citate con il tempo se ne sono aggiunte altre tre: la comunità Franco Basaglia Di Frosinone, il centro diurno di Ceccano e quello di Frosinone. Così è nato questo bel rapporto, consolidato negli anni fino al punto che i ragazzi hanno raggiunto un buon livello tecnico.

Evento traumatico, per noi, è stata la chiusura della struttura in concomitanza all’epidemia di Covid-19. Questo ha comportato sacrifici notevoli e per qualche tempo siamo andati a giocare al bocciodromo di Frosinone, chiuso successivamente sempre a causa della pandemia. Proprio durante la prima fase del Covid ci siamo reinventati proponendo il “gioco della pedana” che si può realizzare anche all’aperto, così per un periodo abbiamo frequentato la pista di atletica a Ceccano, poi da lì abbiamo preparato una dimostrazione sotto Palazzo Antonelli, all’interno della villa comunale, coinvolgendo altre due strutture: il “Centro Insieme” e la “Casa dell’Amicizia”, oggi “Villaggio dell’Amicizia”. Questi momenti mi hanno dato la forza per andare avanti, perché dirigere un’associazione senza la struttura non è semplice.

Come si è presentata l’occasione di partecipare al Campionato Regionale disputato l’11 giungo scorso?

Prima di questo evento i ragazzi hanno avuto l’occasione di mettersi alla prova al bocciodromo di Alatri dove hanno vinto qualche medaglia poi, in virtù dei loro notevoli progressi, è arrivata la proposta di presentarsi ai campionati paralimpici, fino all’11 giugno quando abbiamo deciso di rispondere all’invito della Federazione Nazionale partecipando al Campionato Regionale e arrivando primi. È stato necessario operare una selezione perché i partecipanti dovevano essere non meno di 4 e non più di 7, così abbiamo cercato di coinvolgere almeno una persona per ogni struttura in modo da rappresentarle tutte. Questo importante risultato ha prodotto un’altra giornata bella e significativa, perché siamo stati ricevuti dal Sindaco di Ceccano.

Parlare di salute mentale non è facile, la fragilità sembra non potersi liberare dallo stigma. Come è stata accolta dal territorio la scelta di intraprendere questo progetto da parte dell’associazione?

Chi è nato a Ceccano qualche anno fa ha conosciuto l’ospedale psichiatrico, il cosiddetto manicomio. Se ancora ci fosse stata quella legge, avrei visto i ragazzi che oggi vengono a giocare con me attraverso le sbarre. Al di là del trattamento medico, quella struttura era considerata la prima azienda del posto perché dava lavoro a molti abitanti di Ceccano che ne hanno tratto beneficio e che, forse, dovrebbero sentirsi in debito.

A mio parere il progetto, la nostra associazione, meriterebbe un’attenzione maggiore. Io non uso i social, ma in alcune occasioni le nostre attività hanno occupato le prime pagine dei giornali e metto sempre al corrente tutti i componenti dell’amministrazione comunale. Questo è un paese in cui si fanno le cose, ma non si sanno.

Cosa lascia questa esperienza sul piano personale?

Personalmente mi porta a interrogarmi, anche dal punto di vista sportivo: tra i ragazzi c’è competizione, ma allo stesso tempo ci sono sportività e gioia, elementi che quando vado a giocare la domenica non sempre avverto. Un ragazzo della Maxwell Jones, durante l’allenamento in occasione delle feste di Natale, mi ha fatto un regalo: un libro di poesie scritto da lui. Non sapevo che scrivesse, è un gesto che mi ha emozionato. Ha anche trasformato la nostra sigla da “Federazione Italiana delle Bocce” a “Felici Insieme con le Bocce”.

A Isola del Liri, invece, ho conosciuto un ragazzo che veniva a giocare con molta fatica, perché prima della Legge Basaglia era stato ospite nel manicomio di Ceccano, quindi passare qui gli riportava alla memoria il tempo delle sbarre. Con lui è nata un’amicizia particolare, l’ho rivisto anche se non partecipa più agli allenamenti né alle gare. Fare questo lavoro mi dà serenità e mi arricchisce, l’unica cosa che mi mette preoccupazione è questo andare in maniera itinerante alla ricerca di qualcuno che ci ospiti. Speriamo di trovare presto una struttura, magari anche all’interno dell’ospedale stesso.