pratiche discorsive

Giorgia Meloni, le pratiche discorsive, il potere. Una riflessione con Giulia Paganelli

«Giorgia Meloni non ha mai imparato il viaggio dell’eroina, a lei hanno sempre insegnato il viaggio dell’eroe. Motivo per cui non potrà mai essere un elemento di rottura, ma sarà sempre nel suo interesse essere un elemento di continuità».

Dai corpi ribelli, i corpi non conformi, ai modelli di potere, la narrazione del reale e la potenza coercitiva e strutturante del linguaggio. Abbiamo chiesto a Giulia Paganelli un cenno decostruttivo sulla figura politica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, partendo dalla preferenza espressa per la declinazione della sua carica al maschile fino a riflettere sulle dinamiche di potere e il ruolo che le pratiche discorsive ricoprono all’interno dei sistemi relazionali e nell’immaginario collettivo.

Per la prima volta una donna in Italia è a capo del governo e preferisce essere declinata al maschile. Partiamo da qui.

Il dato rilevante è che in Italia ci abbiamo impiegato più di 60 anni perché una donna avesse abbastanza riconoscimento da poter essere pensata come eventuale capo di un governo e in parte la risposta alla domanda è proprio qua: che cosa deve fare una donna in Italia per avere credibilità? La prima cosa ovviamente è associarsi ai maschi, ma non ai maschi in generale, quanto alle strutture patriarcali. Lo vediamo nelle posizioni più elevate sul lavoro come nel governo.

È chiaro che la mossa di Meloni sia di sopravvivenza da una parte e politica dall’altra, i due piani si sovrappongono. È una persona che viene dalla militanza bassa, ha iniziato a fare politica quando era alle scuole superiori e ha iniziato a farlo in uno schieramento politico in cui le donne non esistono. È indubbiamente una persona molto intelligente, che sa cosa deve fare per poter sopravvivere e si trova in una posizione di grossa difficoltà perché è al governo con due partiti profondamente maschilisti, che fanno del corpo delle donne, a loro uso e consumo, delle bandiere. Basti pensare a Pillon o all’utilizzo che ha fatto Silvio Berlusconi dei corpi delle donne nella sua vita.

Nel rimarcare che lei è “il presidente del Consiglio” mette immediatamente a tacere la cosa più pericolosa possibile, ovvero il dubbio che si può nutrire nei suoi confronti. Che cosa si può fare nei confronti di un elettorato che è prevalentemente maschile, sessista, sovranista e populista? Si può abbracciare immediatamente una delle ideologie che serpeggiano e che fomentano più violenza in assoluto tra i suoi elettori: il tema dell’identità di genere e dello schwa. Quindi lei è “il presidente”, in modo assolutamente antitetico anche banalmente alla grammatica italiana.

I primi dubbi su di lei saranno screditanti e abbiamo già assistito a questo quando ha deciso di portare con sé sua figlia al G20. Lì ha dimostrato la sua abilità da stratega. Tra l’altro colgo l’occasione per sottolineare che dare del fascista a qualcuno non vuol dire automaticamente dargli dell’ignorante e quando associamo le due cose commettiamo un terribile errore, perché sottostimiamo l’avversario. Dovremmo ricordarci che il fascista non è ignorante, è solamente fascista e possiede l’incredibile abilità di portarti al suo livello nelle conversazioni e ti batte completamente con l’esperienza. Tu, dall’altra parte, che cerchi di ribattere la narrazione con strutture culturali perdi, sempre. E Giorgia Meloni lo sa: si è portata la bambina al G20 ed è arrivato un solo commento sul fatto, uno solo, e nel giro di un’ora mezza lei lo ha trasformato in una shitstorm. Ha piegato tutti gli atri capi partito a difenderla e a rimarcare la validità del suo corpo di madre all’interno della politica.

La strategia è quella della continuità dentro un quadro storico che invece dovrebbe significare rottura.

Certo, Meloni è abile stratega ma non ha competenze. A questo proposito è molto interessante fare riferimento agli studi sulle teorie della narrazione: Il viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler e Il viaggio dell’Eroina di Maureen Murdock, il cui sottotitolo è La risposta femminile al viaggio dell’Eroe, sono due libri che parlano tra loro.

Giulia Paganelli. Una riflessione sul potere e le pratiche discorsive Nella foto Giulia Paganelli

Come mi insegna Marina Pierri, che è la persona che non smetteremo mai di ringraziare per aver portato il viaggio della Murdock a noi tutti qui in Italia, Il viaggio dell’Eroina è un viaggio che prevede una distruzione per riappropriarsi di sé, del proprio corpo e della propria identità. Mentre Il viaggio dell’Eroe è costantemente un viaggio di costruzione. Giorgia Meloni non ha mai imparato il viaggio dell’eroina, a lei hanno sempre insegnato il viaggio dell’eroe. Motivo per cui non potrà mai essere un elemento di rottura, ma sarà sempre nel suo interesse essere un elemento di continuità, a costo di annullare se stessa per interpretare la maschera.

Come anticipavi prima, quello che ricalca Giorgia Meloni è quindi il modello politico patriarcale.

Certamente e non ti dirò che è un’ancella del patriarcato, perché non sarebbe giusto. Non è al servizio del patriarcato, ma è una delle sue protettrici e creatrici. La sua componente femminile evoluta infatti è praticamente azzerata: lei impersona i corpi culturali che le sono favorevoli, è una madre quando le fa comodo, ma per il resto non porta avanti nessuna battaglia a favore delle donne.

Rispetto al tema dell’identità di genere quale potrebbe essere il riverbero delle sue scelte?

Temo uno stallo totale della conversazione istituzionale sulle divulgazioni e sugli attivismi della comunità. E lo stallo è il pericolo assoluto, perché ci fa restare terribilmente indietro e lo siamo già. Le istituzioni sono indietro in maniera vergognosa rispetto alla generazione che arriverà domani. Faremo una fatica terribile a recuperare terreno.

Spostandoci più in generale sui modelli di potere, qual è il loro impatto sull’individualità?

Pervasivo. Questa è una formazione di governo che della sorveglianza e del controllo fa il proprio programma elettorale. Tempo fa, ero su un taxi a Milano, alla radio parlava Salvini e ho chiesto al conducente di alzare il volume, che mi dice: “anche a me interessa, ma sicuramente non per le stesse tue motivazioni, perché io ho votato Meloni”. Gli ho fatto qualche domanda, è stato molto gentile e mi ha dato delle risposte che mi hanno spiazzata. Mi ha detto: “l’ho votata perché ho capito quello che ha detto”. È vero: Meloni è comprensibile a tante persone.

Da lì ho voluto fare una cosa folle: dal 26 settembre al 25 ottobre ho parlato con 197 persone che hanno votato Meloni, perché ero curiosa di capire. Al taxista, ad esempio, ho chiesto quali fossero i punti del programma di Meloni che gli interessassero, erano la sicurezza e la migrazione. Chiedendogli di spiegarmi meglio, mi ha risposto: “tu non sai come si lavora di notte a Milano”.

E sulla migrazione ha aggiunto: “non ci sono soldi per noi, figurati per quelli che vengono qua. E quelli che sono già qui spacciano e fanno reati di notte”. Rispetto invece alla mia domanda sulle persone gay, lesbiche, trans mi dice: “possono fare ciò che vogliono, l’importante è che non mi rompano i coglioni”.

E allora ho avuto una grande rivelazione: alle persone basta parlare di ciò che sta loro a cuore. Dopo due anni di pandemia, ad esempio, hanno paura, vogliono sentirsi abbracciate e rassicurate e Meloni è bravissima in questo. Lei sa parlare alle persone, del resto è cresciuta in mezzo ai fascisti. Ha una palestra incredibile, che nessuno di sinistra potrà mai avere. E, per di più, lei ha dalla sua la rassicurazione della madre. Questa strutturazione è chiaramente una dinamica di potere: chi ha paura ha bisogno di affidarsi a qualcun altro. E fomentare quella paura è la base del sovranismo.

Qual è il legame tra il linguaggio e il potere?

Se noi intendiamo il linguaggio come un enunciato che non è semplicemente un insieme di parole, lo dobbiamo considerare una pratica che al suo interno aggancia i processi cognitivi, i modi in cui le persone decidono e compiono scelte, ma anche i comportamenti sociali e le figure allegoriche. Le pratiche discorsive sono i modi in cui i poteri si dipanano.

Mettere insieme una serie di parole ha un obiettivo preciso: creare una narrazione talmente potente da non farti vedere che in realtà nasconde una dinamica di potere. È chiaramente tutto foucaultiano, qualcuno un giorno farà un decreto universale in cui si affermerà che “Foucault aveva ragione su tutto!”.

Rimanendo sulla duplice funzione del linguaggio, che da un lato racconta e dall’altro modella, di cosa si costruisce il potere di Meloni?

Beh, lo stesso corpo di Meloni ha subìto dei cambiamenti nel corso del tempo: mi riferisco al modo in cui si veste, al modo in cui sta composta o a quello con cui tiene la voce bassa o ancora modifica le espressioni facciali. A seconda che voglia attaccare o dimostrare di avere potere. Le pratiche discorsive modellano non solo il modo in cui guardiamo il mondo, ma anche come guardiamo e costruiamo noi stessi. Cognitivamente riconosciamo dei modelli, che devono soddisfare dei prerequisiti per accedervi.

Insomma, già Gorgia sosteneva che “l’essere non è e anche se fosse non sarebbe pensabile e tanto meno comunicabile”, motivo per il quale poi la realtà ce la costruiamo con il nostro linguaggio.

Assolutamente sì, noi costruiamo il modo attraverso il quale codifichiamo la realtà. Che non è chiaramente la realtà, ma il nostro modo di acquisirla. Questo è un passaggio molto importante: non esiste necessariamente una coincidenza tra la realtà e il modo in cui scegliamo di codificarla. E chi si occupa di comunicazione – e in qualche modo di manipolazione – questa cosa la sa bene.

Non esiste alcuna codificazione esente dalla componente emotiva e sensoriale. Le persone sono totalmente sprovviste di educazione in questo senso, è in questo modo che diventa possibile usarle e far apprendere loro un modo diverso di guardare la realtà. I discorsi manipolatori sono costruiti sul disagio che proviamo, che può essere interiore o indotto.

Per questo noi in Italia abbiamo la sensazione che dal Mediterraneo arrivino orde di barche di migranti, quando in realtà il numero è esiguo. Così come i femminicidi: c’è chi pensa che accadano, ma che non siano riconducibili ad un fenomeno specifico, perché alla fine si chiama semplicemente omicidio quando è una donna a uccidere un uomo.

Quale ruolo occupa Giorgia Meloni nella storia del potere delle donne in politica?

Sarebbe presuntuoso rispondere ora e potrebbe anche riservarci delle sorprese, ma per me nessuno. Quale rilevanza può avere una bandierina con su scritto “prima donna presidente”? Per me, quindi, poco o niente, perché prendo atto del fatto che una persona nata con una vulva occupi una posizione di potere. Tra dieci anni, se ci saranno state altre donne allora potrò dire che lei è stata la prima donna presidente del Consiglio. La sua utilità non possiamo misurarla oggi. Penso che non sarà mai così impattante da scardinare un sistema, ma, se dopo di lei, dovesse esserci un’altra donna e magari dopo di lei una persona trans e poi una persona nera, solo allora potremmo dire che, essendo stata la prima donna a capo di un governo, ha avuto il ruolo di spezzare se non altro un immaginario collettivo